Sfide e opportunità dell’educazione in carcere, resoconto della due giorni di Napoli

Elena Maddalena Educazione adulti, Epale

L’istruzione e la formazione degli adulti in carcere sono stati i temi affrontati a Napoli il 4 e 5 aprile scorsi durante “Liberi di apprendere”, il seminario nazionale Erasmus+ organizzato in collaborazione con EPALE, la piattaforma per l’educazione degli adulti che a gennaio ha dedicato una settimana di approfondimento sull’educazione in carcere in Europa, dimostrandosi un importante strumento di comunicazione, documentazione e studio anche su questo tema.

Le relazioni si sono articolate su tre aspetti: la situazione nelle carceri italiane, con le criticità e le realizzazioni testimoniate dai rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria, le politiche europee a sostegno dell’istruzione carceraria, le buone pratiche finanziate con fondi nazionali e europei.

Oltre 160 i partecipanti da tutte le realtà penitenziarie d’Italia, a testimonianza di un mondo che raramente ha la possibilità di incontrarsi, condividere e non disperdere l’enorme patrimonio rappresentato dalle singole esperienze.

Secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, negli ultimi anni i detenuti hanno preso parte prevalentemente a percorsi di istruzioni volti a conseguire un diploma di scuola secondaria di secondo grado (circa 7.000) o abilitanti all’esame di licenza media (circa 5.000) ed elementare (circa 2.500). In una nota inviata durante i lavori del seminario, il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore ha indicato nell’alfabetizzazione per stranieri, nella formazione a distanza e nello sviluppo delle tecnologie dell’informazione in carcere i futuri e principali ambiti di intervento. «L’istruzione è un nodo fondamentale del fine che perseguiamo nel percorso penitenziario, ovvero il trattamento volto al reinserimento nella società e all’evitare che coloro che hanno già commesso crimini incorrano ancora nell’illegalità. Da questo punto di vista è importante partire dall’alfabetizzazione e puntare ai gradi più alti dell’istruzione. La nostra sfida passa per un vero e proprio cambio di paradigma, verso una logica della pena che implementa la responsabilità. Il rischio che il periodo detentivo sia un periodo di sospensione e d’“infantiliazzazione” ci preoccupa. L’istruzione, la conoscenza, il percorso formativo contribuiscono a una maggiore consapevolezza e a un maggior valore dell’esecuzione penale», ha dichiarato Migliore.

martiLa necessità di linee guida per la diffusione di un nuovo modello detentivo in cui i percorsi di educazione e formazione si inseriscano all’interno di un progetto coerente e complessivo è stata oggetto della recente consultazione denominata “Stati Generali dell’Esecuzione penale“, le cui raccomandazioni finali sono state riportate nell’intervento di Mauro Palma, Garante nazionale dei Diritti dei Detenuti, e affidate alla discussione del seminario.

La funzione dello spazio deputato allo sviluppo della conoscenza è stato affrontato da Giuseppe Centomani, Dirigente del Centro di Giustizia Minorile in Campania, Toscana e Umbria, che ha parlato di «riconoscibilità dello spazio e del luogo dove si fa educazione, riconoscibilità del metodo e dei contenuti» e ancora «certezza del contesto» e «sintonia tra gli operatori del sistema». Umanizzazione e apertura nelle esperienze del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana sono state riportate da Rossella Giazzi, ma le criticità sono ancora numerose ed emergono dalle parole di Riccardo Polidoro, Responsabile dell’Osservatorio Carcere: «La situazione nelle carceri è ancora grave e in molti istituti si riscontra la mancata applicazione della legge del ’75 (Riforma dell’Ordinamento penitenziario)». Polidoro denuncia carenze organizzative, strutturali e normative, pur riconoscendo i miglioramenti fatti dall’Italia in seguito alla sentenza della Corte europea per il sovraffollamento delle carceri. Importante anche una “rieducazione” dell’opinione pubblica che deve essere avvicinata alle problematiche del carcere per condividere principi base di civiltà giuridica.

alanGli interventi di Alan Smith, fondatore del Programma europeo Grundtvig per l’educazione degli adulti, e Annet Bakker, direttrice di EPEA – European Prison Education Association, hanno concluso la prima giornata di lavori fornendo un ampio respiro europeo. Alan Smith ha ricordato le politiche europee a favore dell’educazione degli adulti in cui si inserisce l’educazione in carcere, i programmi di istruzione e formazione (Erasmus+ e i programmi precedenti, EPALE, il Fondo Sociale Europeo, il Programma Giustizia, Horizon 2020 e Creative Europe), i bisogni e le sfide comuni a tutti i paesi. Ha inoltre ricordato il Programma Grundtvig che ha sostenuto i reclusi, gli insegnanti e lo staff carcerario e le diverse iniziative UE per promuovere e sostenere la cooperazione europea in questo specifico ambito.

La seconda giornata di lavori è stata dedicata alla buone pratiche provenienti dai percorsi di istruzione formale e non formale, introdotte dalla relazione di Francesca Torlone del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Firenze. Parlando delle nuove sfide dell’educazione non formale, la Torlone ha ricordato che la dimensione pedagogica del principio “rieducativo” della pena ha come obiettivo di «rieducare il singolo detenuto all’essere cittadino in ogni sua dimensione attraverso pratiche riflessive e trasformative». Il contesto penitenziario stesso dovrebbe essere rieducativo, con un’attenzione alla socializzazione, al rapporto tra pari, con i docenti e gli agenti. Tutti gli operatori che lavorano in carcere infatti devono assumere funzioni educative nei confronti dei detenuti. «Nel carcere trattamentale ci si educa/diseduca sempre ovunque, facendo qualsiasi attività in contatto con chiunque, anche inconsapevolmente», ha concluso la Torlone.

Questo principio è stato esplicitato dagli interventi successivi che hanno raccontato il teatro in carcere con le esperienze di Horacio Czertok, direttore dei Teatro Nucleo di Ferrara, e Giorgio Flamini, regista e attore teatrale, qui in veste di direttore artistico della Compagnia #SIneNOmine, formata prevalentemente dagli allievi iscritti alla sezione in carcere del Liceo artistico Sansi-Leonardi-Volta di Spoleto. E ancora la didattica laboratoriale, raccontata da Fausta Minale, docente della Casa Circondariale femminile di Pozzuoli, la formazione professionale illustrata da Giacomo Sarti e Stefano Cuppini del Consorzio OPEN di Bologna, e l’educazione alla salute nell’esperienza del progetto portato avanti nella sezione femminile del carcere Dozza di Bologna e illustrato da Patrizia Stefani di Medicina Europea di Genere.

aulaI lavori si sono conclusi con quattro lavori di gruppo durante i quali sono stati esaminati altrettanti temi: teatro in carcere, didattica laboratoriale, inserimento lavorativo e cittadinanza giuridica, individuando possibili sviluppi futuri e modelli da mettere a sistema. EPALE metterà a disposizione lo spazio di condivisione e gli strumenti per sostenere anche in futuro la comunicazione e il lavoro in rete.

Dalle molte esperienze raccontate nelle due giornate, emergono aspetti due fondamentali: la centralità dell’individuo-detenuto e la necessità di un modello educativo che umanizzi la pena, favorisca la consapevolezza, orienti e riorienti. In sintesi, quella “scuola-valore” rievocata da Fausta Minale che, secondo un pensiero comune a tutti i presenti, ha ricordato come «non possiamo permettere che le persone escano peggio di come sono entrate».

 

 

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Seminario Napoli "Liberi di apprendere", 4-5 aprile 2016

 

 

Per approfondire i contenuti del seminario e saperne di più su EPALE:

 

di Martina Blasi, Unità EPALE Italia
e Alessand
ra Ceccherelli, Ufficio comunicazione INDIRE