A fine dicembre scorso, l’ Accademia di Belle Arti di Firenze di Firenze ha organizzato la mostra “Carta d’imbarco“nelle sale dell’aeroporto Amerigo Vespucci per promuovere la mobilità in Europa e oltre. L’iniziativa è stata inserita nell’ambito della rassegna StARTpoint 2015, ideata e prodotta dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, con il contributo di Regione Toscana, in collaborazione con Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci nell’ambito del progetto regionale Cantiere Toscana Contemporanea.
Protagonisti alcuni giovani artisti dell’Accademia con la carta d’imbarco pronta per un’esperienza Erasmus: dall’Armenia, dalla Spagna, dalla Turchia a Firenze e dall’Aeroporto fiorentino verso l’Europa.
Carta d’imbarco. Arte all’aeroporto
Interviste girate da Marco Mannucci Ufficio stampa dell’Accademia di Belle Arti di Firenze – nelle sale dell’Aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze, in occasione della mostra “Carta d’imbarco” a dicembre 2015.
Gli artisti e le opere in mostra
Narine Nalbandyan, di origine armena, ha presentato un video denso di significati che, partendo da un elettrocardiogramma, riporta con le immagini successive allo sterminio del suo popolo.
Altrettanto evocativo, in termini di riflessione e recupero di un tempo umano e non digitale (intensificato dai suoi disegni su carta di quaderno con quadratini che sostituiscono i pixel), è il video della spagnola Estela Barcelò: il lento sgretolamento di un edificio simboleggia la corrosione che la normalità dello scorrere del tempo esercita su cose e persone. Qualcosa di inesorabile, ma proprio per questo accettabile.
Sulla ricerca del segno si fonda la poetica di Gianluca Tramonti; un segno fatto d’istinto, alla ricerca dello sbaglio rivelatore. Appassionato di Matisse, reinterpreta alcuni quadri del maestro fauvista, senza però la gioiosa essenzialità di quest’ultimo.
Le figure che si muovono, interagiscono fra loro, forse danzano, e non anelano alla purezza della vita primitiva, ma attendono un qualcosa di ineluttabile ed orribile, forse una morte violenta.
Anche Claudia Bigongiari si muove riattualizzando forme del passato. Partendo da alcuni dipinti che si trovano nella chiesa di Sant’Agostino a Pietrasanta, l’autrice ne sceglie alcuni particolari: un pastorale, un crocifisso, un calice e li rielabora facendoli diventare un modulo decorativo. La sua è una ricerca sulla ripetitività che si carica di significato nell’uso del lucido come riferimento alle vetrate e ai rosoni delle chiese.
Giordano Magnani comincia ad interessarsi alla fotografia durante il suo soggiorno Erasmus ad Anversa, dove salta ai suoi occhi la costante presenza di geometrie e luci fredde, quasi teatrali. Ne nascono immagini di città distaccate e asettiche, dove però, accanto all’apparente assenza di emozioni trova posto un’armonia e di forme ed un’attenzione estetica che si vestono di simbolicità.
Philip Brun (tedesco) prende a soggetto la città di Istanbul quale luogo privilegiato di incontro fra popoli, culture e religioni diverse. Va pertanto alla ricerca delle tracce umane e, talvolta, ideologiche che nella metropoli turca trovano adeguata collocazione. Luoghi abbandonati, quartieri nuovi diventano metafora di un melting pot dai contorni complessi e spesso indecifrabili.
Il lavoro di Paolo Angelini si è mosso nell’ambito della riscoperta dell’inusuale delle città. Non dunque luoghi, persone o cose consacrate dalla loro intrinseca bellezza, ma soggetti apparentemente privi di significato e “poveri” nella loro occasionalità. Persone comuni, pupazzi dimenticati, poster ormai obsoleti costituiscono i temi di questa serie fotografica stampata con tecniche generalmente superate, dettaglio importante questo perché riconduce all’essenza della ricerca poetica dell’autore.